Avete atteso a lungo, ora… l’attesa è finita

Vi ho lasciati con un messaggio sospeso, ormai più di un anno fa.

Non è stato un silenzio immobile, ma affaccendato e ricco, di pianificazione e crescita.

Questo è insieme l’atto finale e il prologo del progetto più viscerale e orgasmico della mia vita.

 

Come già vi ho anticipato, Telesuono così come l’avete conosciuto, si conclude qui.

Ciò che non ha fine è la mia fame, che si alimenta e langue della vostra fame.

 

È ancora presto per rivelarvi quale sarà la forma e il nome della prossima reincarnazione dei miei gemiti, ma non temete, non dovrete più attendere a lungo, né quest’attesa sarà nuovamente silenziosa.

 

Per questo ho scelto di regalarvi “Desiderarti”, un racconto dalla genesi ormai remota, ma che vibra di quest’energia di transizione e insieme abbandono febbrile al piacere.

 

Non vi tratterrò oltre. Vi lascio alla mia compagnia e a quella di una delle nostre nuove voci, pronte ad accompagnarvi nel mio prossimo sogno erotico…

 

A presto, miei adorati e adorate…

E fate sempre i cattivi

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Desiderarti

DESIDERARTI

“Leccamela”

“Annegaci”

“Annega, amore, sì…”

 

Un lungo momento di stasi: le unghie intricate alle sue ciocche brune, e il bacino a bloccarlo, immobilizzarlo, sotto la sua cascata di piacere.

Lei riguadagna, con un piccolo sobbalzo, la quadrupedia.

Un profondo e vibrante ansimo emerge dalla testa infossata nel materasso. Delle lacrime umide gli brillano tra i peli della barba.

“Amore?” pronuncia infine lui con il fiato ancora spasimante; strizza gli occhi, e dopo un respiro più profondo, rivolge lo sguardo al soffitto.

“Sì?” fa lei ora rannicchiata freddolosamente su sé stessa; la voce stropicciata dall’orgasmo, addolcita.

“Vorresti provare qualcosa di…diverso? Per cambiare”.

Lei rotola sul fianco focalizzandosi su di lui: “credo…dipenda molto da cosa sia quel qualcosa di diverso”.

“Mi piace venerarti, -”
“E questo è bene che sia fuori di dubbio” lo interrompe.
“MA – per un attimo la sovrasta – ma, non sono io. Cioè sono io ma non sono intero, così. Mi piace. Mi piace che tu mi sottometta, e mi piace soprattutto annegare in te – prosegue con tono molle e succoso – ma vorrei che per una volta fossi tu a soffocare e a supplicare per averne di più. Non dico si debba fare per forza, non so nemmeno se mi piacerebbe, ma me lo chiedevo da un po’ e mi sarei odiato se non te l’avessi almeno proposto. Cosa dici?”. Interrompe la voce voltandosi per la prima volta verso di lei, che di rimando lancia un’occhiata sbigottita e si abbandona nuovamente tra le molle del materasso.

“Uff – e dopo un vigoroso inspiro – sono contenta che tu me ne abbia parlato, innanzitutto. È un tuo desiderio e nessuno più di me lo rispetta. Al tempo stesso devo confidarti che tutto ciò mi spaventa a morte”.

“Perché mai? Non voglio farti davvero del male, voglio solo provare a fare quello che tu fai a me, ma…a modo mio, ecco”.

“No, no, ma figurati, non è quello. Non ho paura di farmi male. Ho paura di essere io quella che desidera tra i due…”.

Si gira verso di lui, visibilmente sorpreso.
“Non fraintendermi: non è che io non ti desideri. Però quando godo grazie a te, mi sembra in un certo senso di…appagarti, di sfamarti, di farlo per te, capisci? E tu mi chiedi sempre di più. Ed è quello che mi chiedo: e se io non ne volessi di più? Se non mi piacesse? O forse, che è anche peggio: e se mi piacesse? Allora sarei davvero vulnerabile, allora avresti davvero il potere di farmi supplicare…”.

“Ed è così…terribile?”.

“No, al contrario. Però mi spaventa comunque. Però credo di volerci provare”; prosegue mettendosi a sedere.

“Bene…anzi: ottimo. Sono davvero felice”. La imita.

“Sì…come pensavi di -?” ma la sua bocca trattiene le parole, come la mano improvvisa di lui le trattiene mento e zigomi.

“Shhhhh – le si avvicina, con un tono che si è fatto, da un momento all’altro, flebile e sibilante – ti dirò io quando voglio sentirti parlare”.

La mano ha nel frattempo liberato la bocca di lei, che rimane per un attimo socchiusa, interrotta a metà e da quel momento immobile; il mento inclinato ancora verso l’alto e gli occhi, sgranati, ma senza accenni di paura.

“Non penserai che sia così facile, vero? Ho detto che sono disposta a sottomettermi, e questo non è in questione; ma la mia obbedienza va guadagnata”.

A sottolineare la ribellione la donna si alza dal letto, guardandolo dall’alto dove da sempre lo guarda mentre lui la beve fino in fondo.

Digrignando bestialmente i denti anche l’uomo scatta in piedi, fermandosi a pochi centimetri dal viso altero. Il suo sguardo è amalgama di rabbia e fame; voracità mai saziata nel profondo di quelle pupille nere e illimitate.

Con un movimento insospettabilmente rapido la volta trattenendole le braccia dietro la schiena e spinge il suo corpo nudo e caldo contro il freddo dell’intonaco. Nell’impatto con il muro, un piccolo sussulto d’aria viene spinto fuori dal morbido petto con un sospiro. La bocca dischiusa per la sorpresa, accenna un piccolo sorriso stupito, sfiorando la parete.

“Sei bravo” sorride sprezzante, non opponendo alcuna resistenza fisica alla stretta ferma delle braccia dietro di lei e del corpo che la pressa.

“Non ne hai idea” sibila la voce che ha sentito ora per la seconda volta, ma ancora nuova; le causa un brivido. Forse è sentirlo così vicino, forse non è solo il calore del suo respiro: è il modo in cui si impastano sulla sua lingua le parole, il silenzio che le lega e il fiato addensato che trasuda il brivido della sfida, del potere conteso.

“Cosa vuoi farmi? – gli miagola mentre di poco muove i glutei verso di lui, cercandolo, sfiorandolo, stuzzicandolo, sfidandolo – cosa vuoi fare con me, dimmi?”.

Lui non lascia trapelare nulla: i muscoli si sono irrigiditi ma lo sguardo è quello determinato di chi ha per troppo tempo ricevuto e mai dato; non è più una concessione che vuole, sembra suggerire la stretta serrata della mascella. Ha addestrato, giorno dopo giorno, la sua volontà, affinché potesse esplodere come un lampo e concentrarsi interamente su di lei, sul suo tenero e fragile corpo, in questo momento. No, oggi non avrà altre concessioni: è arrivato il momento per lui di prendere.

Si scosta, e dove prima c’era il suo sesso, ora staglia la mano con precisione sulla sua natica destra, protratta, che un momento prima lo cercava.

“Per prima cosa – le sferra un altro forte scapaccione – voglio che impari a tacere”. E ad un’altra manciata di sberle fa seguito il silenzio.

E quel silenzio perdura.

“Meglio” le si avvicina nuovamente lui, e con forza la pizzica dove poco prima cadeva la sua mano.

“Sono stata in silenzio!” protesta lei voltando di poco la testa per cercarlo.

Ma lui nuovamente la incolla al muro, questa volta premendo con forza il corpo contro di lei, non lasciandole alcuno spazio in cui sottrarsi; la mano avvolge la guancia e parte del collo, spingendo anche il viso sul freddo del muro.

“Non funziona così – sibila rabbiosamente, come se cercasse di contenere una forza inarrestabile che nondimeno gli trabocca dalla gola quando prova a parlare – sei mia stasera. Faccio di te quello che voglio. Se voglio scoparti a sangue, lo faccio. Se voglio infilarti il cazzo in ogni buco, lo faccio. Se voglio prendere il tuo fragile collo e trattenere lì il tuo fiato, lo faccio e mi aspetto che tu non muova un dito mentre lo faccio. Voglio anzi che mi ringrazi. Sono stato chiaro?”.

Gli occhi di lei sono chiusi e silenziosi. Si aprono lentamente lasciando intravvedere sotto alle ciglia un languore celato a fatica.

La mano impaziente di lui le lascia la guancia per dedicarsi interamente al collo; la tiene così, tesa come un arco, con il bacino incollato al muro e la testa vicinissima alla sua – “rispondi” prova a scandire nonostante i denti stretti.

“Sì” deglutisce lei.

“Sì, e poi?” la redarguisce stringendo più forte.

“Sì e…Grazie” risponde, finalmente non riuscendo più a trattenere un sorriso che allude a qualcosa di molto simile all’ammirazione.

Non era quanto si aspettava quando aveva accettato poco prima; i muscoli rilassati lasciano intuire una distensione che il continuo controllo – mantenere tutto quel potere, pensare al piacere di entrambi – non le concedeva da tempo. Leggerezza. Leggerezza in quel sorriso e quelle gambe morbide che sono sempre più pronte ad abbandonarsi e cadere in ginocchio e finalmente cedere.

“Brava bambina, allora perché non inizi subito a succhiare?”.

Ciò detto, una ferma pressione della spalla, la incolla a terra.

Il pollice, preme sul suo labbro inferiore che cede e si schiude come un fiore. Al suo interno una lingua rosa, di cui è facile intuire il calore; scintilla nella calda luce alogena.

Lei socchiude lentamente gli occhi, assaporando con la bocca aperta quelle dita che le frugano dentro, sempre più a fondo, per raggiungere qualcosa che sicuramente lei nemmeno sa che c’è.

Un breve spasmo della gola le fa quasi mancare il fiato. Lui emette un lungo sibilo e ritrae le dita – che abbia trovato un indizio di ciò che stava cercando?

Deglutisce lei; il respiro solo vagamente turbato, eppure si distingue già una certa aritmia. Gli occhi spalancati per un momento.

La bocca rimane dischiusa, inerte ma pulsante, accogliente. Di nuovo il pollice trova il labbro inferiore, e poi prosegue sulla lingua che morbidamente cede, insieme alla mandibola.

Gli occhi di lui scintillano osservando quell’ampolla, quell’antro di frementi irrorazioni sanguigne che lo attendono, mentre vi avvicina lentamente il suo membro. Sul pollice percepisce la saliva, che con la bocca aperta, scorre più copiosa; come se la sua gola piangesse, di gioia e dolore, sognando di morire prendendolo.

Il suo costante e infinito movimento verso di lei si arresta un solo momento; lui nemmeno ci prova a dissimulare il profondo palpito che l’aver sentito il fiato di lei sulla sua punta gli ha innescato, e un suono gutturale che rasenta la necessità, erompe direttamente dalla gola in una specie di rantolo.

Lei deglutisce; il bacino rasente terra accenna un’istintiva onda. L’orgasmo di poco prima è un ricordo irraggiungibile, conscio ma non percepibile, in quella che è una fame tutta nuova e forse mai sfamata.

E finalmente, quasi tremante – e per questo ancora più potente – colma quell’ultima, infinitesima distanza, per entrarle dentro. I palmi si appoggiano sul muro di fronte, mentre lui rimane un attimo immobile, annegando nella certezza che l’unico limite che lo separi dal prendere possesso di tutta la sua gola, è lui stesso. E presto rimanere immobile sulla lingua diventa insopportabile, insostenibile.

Tendendole una mano dietro la nuca l’accompagna contro il muro, dove può farla sua senza che possa sfuggirle. E con questo pensiero (implicito o esplicito) si lascia affondare premendo, lentamente e fermamente.

I muscoli del collo e delle mani della preda si tendono un momento, in un istintivo e precoce tentativo della gola di liberarsi, scacciarlo. Lui non da segni d’esitazione, al contrario: trattenendole i polsi fissi al muro, guadagna altri pochi centimetri, allarga altri confini.

Uno spasmo, come un’onda, la agita, più forte di prima. Lui ancora la trattiene, e richiamando a sé una voce che arriva da un luogo lontano, gorgoglia: “resisti piccola, resisti piccola…fallo per me (oddio) non riesco a lascarti piccola”. Un nuovo fremito la scuote. “Vuoi respirare? – continua lui – sì, sei stata brava”.

Senza lasciarle i polsi, e senza affrettarsi, scivola ripercorrendo quell’umida e pulsante galleria alla rovescia. Finché lei non volta il viso, liberando finalmente la bocca e una vigorosa serie di sospiri mischiati a gemiti.

Lo sguardo è vivo. Le pupille grandi, le palpebre lontane a lasciare più occhio nudo possibile.

“Sei una droga – proferisce lui con voce ora più ferma – non riesco a pensare ad altro se non a quanto voglia entrarti dentro fino a lacerarti; toccare le tue profondità più calde, più vive, più irrorate, nascoste a tutti, inaccessibili a tutti, tranne che a me”.

Anche il fiato di lei si calma. È tornata padrona di sé; anche se visibilmente scossa, non meno fiera. Si lecca le labbra e dopo un silenzio assaporato da entrambi, sillaba lenta: “grazie”.

Con un sorriso simile a un ringhio lui le si poggia sulle labbra, che nuovamente si arrendono.

“È una tortura non cedere subito, adesso. È una tortura… – geme lui scivolandole di nuovo lentamente dentro – oddio…non so quanto riuscirò a resistere ancora, piccola. Devo averti tutta, fino in fondo. Se mi prendi tutto dopo ti scopo come si deve. Ti scopo prima la bocca, poi il culo e se avrai fatto la brava, ti scoperò anche la fica”.

Ciò detto preme ancora e ancora, per riuscire ad entrarle tutto, finché non poggerà le labbra sul sue pube. Le abbandona per la prima volta le mani (che rimangono sospese, immobili, appese come un quadro) e le prende la testa con ambo i palmi, stringendola a sé.

Qualche breve ansimo e si sfila da lei, questa volta più velocemente. Questa volta lei tossisce, il volto arrossato e gli occhi leggermente lucidi. Ancora la fierezza nei suoi occhi non si piega, riluce anzi ad ogni nuova prova.

“Brava” si china per la prima volta verso di lei, all’altezza dei suoi occhi, e le sfiora la guancia con il dorso della mano. Ma la carezza diventa presto una morsa in cui intrappola i capelli, alla base della nuca; e tenendola come si tiene un gatto per la collottola, la porta a terra, sdraiata accanto al muro. Rapidamente le sale sopra, componendo un yin yang, e infilatole un braccio sotto la testa, inizia a scoparsela. La mano le spinge il viso contro il bacino, mentre anch’esso si alza e si abbassa. La bocca e la gola soffocano in uno sconnesso gorgoglio che di tanto in tanto erompe in un frammento di respiro, quando lui esce da lei completamente, solo per rituffarsi ancora e riscoprire la sua essenza, celata sotto un po’ di saliva, dentro a qualche rantolo.

“Ti scoperei la bocca fino a farti soffocare amore mio – la sua voce succosa accompagna una spinta più lenta e profonda, cui lei non si sottrae – guarda quanto ti stai bagnando cazzo, ti mangerei”. Si accorciano i movimenti del bacino, rallentando, indugiando nelle profondità; allunga indice e medio giù per i fianchi di lei, irrequieti, e raggiunto lentamente il pube, le dita qui si biforcano e scendono. Alludono ad un centro che muore dalla voglia di essere toccato.

Averlo dentro non le impedisce di gemere, protestare, lamentarsi. Vorrebbe la toccasse; sentirlo così vicino e non poterlo avere, ha mai provato lei qualcosa del genere? Lei, che è abituata a strappargli il piacere dalla lingua, dal cazzo. E ora, tutta quella volontà, tutta quella forza, non ha altro sfogo che desiderare.

Non c’è nient’altro che possa fare, se non volere e volere e volere. Dolorosamente, forse invano, eppure con una totalità cieca, irragionevole. Un desiderio che va oltre a sé stesso, oltre allo scopo ultimo del desiderio, che è appagarsi.

“Vuoi che ti tocchi?” chiede infine lui, fermandosi dentro di lei, profondamente. I singulti di protesta si affannano, soffocano.

“Vuoi che ti tocchi?” ripete muovendo il bacino ora baciato dalle sue labbra. Un lamento acuto e supplice, primordiale, trapela da quell’incastro di carne.

Senza sfilarsi lui ricomincia a muoversi, lentamente, mentre la sua bocca scende, rasente il sesso di lei, dischiuso, così caldo da accarezzargli le labbra. Invitandolo, come un fiore velenoso e dolcissimo.

Continua a scoparsela mentre le tocca l’inguine con la punta della lingua. La carne si anima sotto il suo tocco, lo cerca, lo implora. Un altro lamento erompe sotto di lui, che non vuole lasciarla.

D’un tratto poi, si sfila.

“Leccamela amore, solo un attimo” erompe la sua preghiera quasi prima dei respiri, prima di poter riprendere fiato; è ora quello, il suo ossigeno.

“Sul letto” si limita seccamente a risponderle.

“Ti prego – lo guarda dal basso in alto – sto sgocciolando” tira fuori la lingua, un po’ con la malizia di volerlo sedurre (giocare a sedurlo), un po’ saggiando i solchi dei denti che le ha scavato nel labbro inferiore scopandosela.

“Sul letto” ripete lui, freddo come il ghiaccio, afferandola di nuovo per i capelli.

Lei si accovaccia come un animaletto e si arrampica sul letto. “Pancia in giù”.

“Vuoi punirmi ancora?” dice lei voltandosi “se mi tratti sempre male come puoi vincermi del tutto? Non c’è niente in palio”.

Lui l’afferra per i fianchi, e lasciandole solo il busto sul letto, la sferza con la prima sculacciata, violentemente. Il fianco si contrae istintivamente, ma la voce continua fingendo indifferenza: “non mi concedi piacere, mi picchi, anche se devo dire che in questa posizione…mmmh…sì – inizia lentamente a sfregarsi sulle lenzuola sotto di lei – sì così mi piace”. Geme e sorride tra sé della sua raffinata vendetta.

“Rivestiti”.

“Cosa?” si volta lei di scatto.

“Ho finito con te”.

Lei ammutolisce. Stringe vagamente le cosce tra di loro; un alone come luccicante bava di lumaca scintilla nel loro incavo.

“Sarò brava”.

“Sarai… – la incalza lui – voglio un segno della tua obbedienza, ora, subito”.

“Colpiscimi ancora” proferisce in tono fermo, incrociando il suo sguardo.

“Colpiscimi ancora”.

“Vuoi che lo faccia?” chiede lui dopo una breve pausa, riavvicinandosi a lei, disegnandole dei circoli con la punta delle dita sui glutei.

“Ti prego, fallo” dice lei con un filo di voce, come se quelle parole emergessero da un’aspra lotta interiore.

“Chiedimelo ancora piccola” domanda lui godendosi ogni inflessione di ogni sillaba che gli esca dalla bocca. I glutei sadicamente pizzicati per qualche breve attimo.

“Ti prego”.

“Oh sì – la colpisce con forza, in modo secco e deciso – chiedimelo ancora”.

“Ti prego” ripete lei con voce ferma che tradisce una prima crepa.

Di nuovo una forte sberla. E un’altra.

“Chiedimelo ancora piccola” anche la sua voce inizia a scomporsi, sgretolarsi, lasciando intravedere ciò che vive e pulsa sotto il controllo, sotto il potere.

“Ti prego” la voce esita un attimo, nell’eco dell’ultimo schiaffo.

Lui la colpisce, ancora ed ancora, mettendo in ogni colpo una fulminea ma consistente mole di forza.

“Ancora una volta amore mio, supplicami un’ultima volta”.

Lei rimane un attimo in silenzio, il fiato aritmico. Si volta sorridendo. Apre la bocca e giocando con la lingua tra labbra e denti pronuncia ancora un flebile “ti prego”.

Lui accetta la sfida e, mentre ancora il suo sguardo sfacciato lo punta, ad una ad una le inferisce altre quattro sculacciate. Ad ogni colpo si assicura di non perdere nemmeno una sfumatura di quegli infinitesimali espressioni di dolore misto ad eccitazione che è riuscito ad ispirarle.

“Bene – sentenzia infine stringendole sadicamente un gluteo ormai arrossato – sai, volevo concedertelo prima, un attimo di piacere. Ma poi c’è stata la ribellione, la disobbedienza. Penso, invece, che mi prenderò un altro pezzetto di te, te lo strapperò via e me lo mangerò”.

Ciò detto le afferra con forza entrambi i glutei (lei si lamenta sinceramente e ha un sussulto) e li divarica. Passa il medio davanti alla bocca, vi fa colare un po’ di saliva, e lo avvicina al suo ano, bollente come è ormai bollente tutta, un po’ per dolore, un po’ per passione. Lo prende dentro, in una sola spinta, senza fermarsi; a sottolineare il gesto un suo lungo sibilo, cui lei risponde gemendo ancora.

Si contrae e lui si arresta un attimo, mordendosi le labbra: la voglia di averla di nuovo ricomincia a riempirlo ora che è tornata al suo servizio.

“Un po’ di saliva amore, ti sei meritata solo un po’ di saliva” dice mentre si sputa sul pene eretto ai limiti del dolore.

Lo tiene in una mano e lo appoggia facendo pressione sul suo ano caldo. Il bacino ha un fremito verso di lei, una tentazione, una tensione involontaria.

Sputa ancora, questa volta anche sul suo buco, e inizia subito a spingere per entrarle dentro un’altra volta.

Lentamente guadagna centimetro dopo centimetro. Uno spazio si crea per accoglierlo e, impaziente ma rispettoso, vi sprofonda.

Lei trattiene il fiato e quasi boccheggia, e lui anche per questo gode.

L’impazienza lo morde e dove è già riuscito a penetrarla, si sfila e infila di nuovo, con un movimento ondulatorio e ora più rapido.

E poi affonda i palmi sui suoi glutei dolenti, e accompagna il gesto con una spinta più ferma, più profonda, cercando di nuovo i limiti che gli sia dato esplorare, lambendo tutto ciò di lei che riesce a toccarle. Il gemito è meraviglioso, profondo, necessario. Viscerale.

Poi scende col busto ad avvolgerla; una mano di nuovo alla gola per carpirne ogni bisbiglio. I movimenti si fanno più convulsi e lei ancora tenta di resistere. Il dolore forse, non è abbastanza intenso per arrendersi. Il desiderio che le bagna le cosce non trabocca ancora (anche se i testicoli di lui che la sfiorano ad ogni spinta…).

Lui la scopa sempre più forte, perché più lui la scopa e più lei si allarga per lui, gli crea altro spazio per accoglierlo. E non di meno quando il suo bacino le preme sui glutei si contrae splendidamente.

Ed ora di nuovo si ferma, indugia in lei, un padrone ospite. Tutto in lei, che di nuovo trattiene il fiato e insieme geme. La stringe più forte a sé, non è mai totalmente appagato. La mano si sposta dal collo e con due dita torna a giocare con la sua lingua e a lambirle l’ugola.

“Potrei morire così” le mormora accanto all’orecchio.

Con un gesto secco (essendole ancora tutto dentro) inizia a premerla sul materasso, con spinte dure e forti.

E lei finalmente geme. Di un gemito nuovo. Che lui riconosce inconfondibilmente nonostante le dita che le riempiono la bocca. Che lui riconosce anche se non gliel’ha mai sentito pronunciare prima.

Con più trasporto allora prosegue, inarcandosi per stringerla ancora. Lì finché può arrivarle dentro, con forza la riempie. Ad ogni spinta il suo bacino torna a colpire i glutei ancora rossi, pizzicanti.

Finché poi non si tira nuovamente su. Con le mani le stringe i glutei e li separa per vedere il buco che le sta penetrando; la via segreta inaccessibile ai suoi occhi, ma non al suo cazzo.

Compiendo ora un’ampia escursione di movimento, scivola dentro e fuori da lei che non può più non lamentarsi.

“Rivoglio la bocca”.

Dice mentre le entra nuovamente dentro.

Lei risponde solo gemendo.

“Rivoglio la bocca per poterti fare bagnare di nuovo, voglio sentire ancora quanto vuoi essere toccata”.

Lei si gira, lui ne approfitta per vederle in viso la reazione ad un’altra spinta, e non ne rimane deluso.

“La mia bocca è tua”. L’espressione con cui accompagna la frase è priva di sarcasmo. Non c’è rivalità né provocazione nel suo sguardo. La pronuncia, anzi, con una certa solennità. Niente si nasconde più: lei è tutta lì, disarmata e disarmante.

La fa voltare con la testa leggermente giù dal letto, verso di lui, la pancia in su e le gambe piegate. Il cazzo ancora eretto punta la sua bocca, che lei tiene diligentemente aperta. Ma prima di penetrarla ancora, le divarica le gambe tenendola per le ginocchia.

Si china tra le sue cosce e assapora il profumo che custodiscono. Poi passa un palmo a qualche centimetro dal suo sesso: “lo senti quanto sei calda?”.

“Sì” risponde lei restando a testa in giù; il fiato che le esce insieme alla risposta dalle labbra, lo accarezza e gli causa un brivido.

Ormai impaziente lascia che il cazzo ripercorra ancora la sua gola, senza esitazioni, riprendendo da dove aveva lasciato. Lei si contrae ma non tenta di ribellarsi, mentre lui non esita nemmeno un istante a riprendere la foga con cui prima le stava scopando l’ano.

Poi rallenta, avvolgendola tutta, sprofondando totalmente, mentre con la bocca si avvicina ancora al suo sesso. Lei geme come può.

Allora si ferma lì, tutto in lei; infila le mani sotto alle sue natiche (ancora calde) e la divarica.

Ormai in apnea lei ha un sussulto ma non ha il coraggio di arrendersi ora, ora che è così vicina al piacere.

E finalmente, e solo per un istante, un delicato tocco irradia da quel microscopico punto a tutto il corpo. La lingua torna a sfiorarla ancora, altrettanto leggera ed effimera.

Finché lui si sfila. Lei erompe in un respiro agitato, tormentato, non solo dall’apnea.

“Amore ti prego” dice quasi piagnucolando.        

“Cosa?” chiede lui fingendo indifferenza.

“Ti prego toccami, scopami”.

“Non è forse quello che sto facendo?”.

“Scopami la fica amore, ti prego: completami, esplorami. Farò qualsiasi cosa, ma tu riempimi”.

“Qualsiasi cosa?”.

“Qualsiasi”.

Resta un attimo in silenzio. Sorride.

“Allora c’è solo una cosa che devi fare: aspettare ancora. Logorati ancora. La tua voce che mi supplica è dolce, ma non basta”.

Ciò detto le scivola in bocca, interrompendole il respiro e una risposta. Una mano scivola un’altra volta dietro la nuca, per spingerla a sé. L’altra mano l’ammansisce disegnando circoli di straordinaria dolcezza su e giù per le sue cosce imploranti.

Chinandosi, dalla bocca lascia uscire un filo di saliva, che come miele caldo e denso cola sul suo clitoride che a quel tocco freme come freme tutta.

E mentre lei gode, per quell’inteso prolungato attimo, lui con la mano che non le spinge la testa, abbracciandola da sotto, ritrova il suo ano. La saliva scende fin lì e lui con il dito ancora la penetra. Di nuovo lui la prende da ogni buco, lasciandosi invitare, lasciando fiorire tra le sue gambe, ancora più seducente, la tentazione. Quel centro, quel centro inesplorato, cosmico. Quel buco nero dove la luce muore e il fuoco si rigenera instancabilmente come le fornaci che scaldano le viscere della Terra.

L’ha riempita da ogni lato, e ha creato così un vuoto, un vuoto segreto, e spesso impenetrabile, che ora lo chiama, ora si apre a lui, si schiude oscenamente. Si tende, e prolunga, con il calore, con il profumo. Si protrae insieme ai fianchi, imbizzarriti, convulsi, eppure rassegnati, posseduti.

L’abbandona.

Lei rimane ansimante, con il seno che vistosamente scende e sale.

Lui non dice niente, anche il suo respiro è rotto. Le passa una mano dietro la testa e la solleva delicatamente. Lei fa una piccola smorfia: il collo era lì pendente chissà ormai da quanto.

La sdraia nel centro del letto e tenendo gli occhi fissi a pochi centimetri dai suoi (caldi, liquidi, persi nell’infinito) entra in lei un’ultima volta quella notte.

Lei apre la bocca in un dolce, dolcissimo gemito. Di sollievo.

Lo ritrova. Lo riconosce.

Entrambi sembrano lottare contro l’istinto di rovesciare gli occhi, chiuderli, perché le palpebre pesano quanto più si sente. Il loro sguardo trema e cade, e di nuovo si ritrova, e anche gli occhi si penetrano, si compenetrano e ognuno restituisce all’altro quello stesso infinito.

Lentamente lui continua a muoversi, con una lentezza surreale, colma.

“Spero -” bisbiglia indugiando, ma lei lo interrompe: “sì”.

Sorride prima lei e lui la segue. Poggiano le fronti una contro l’altra.
Prima dell’alba si mischiano, in coro, i due “ti amo”.

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